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Calcio stra-ordinario: il fascino del derby di Praga

Sparta e Slavia le due squadre che hanno catalizzato il calcio boemo

di Andrea Iustulin – La defenestrazione, l’esoterismo, le cento torri e il Moldava a tagliarla in due. Praga è una città affascinante che ha percorso la storia europea dal medioevo fino ad oggi mantenendo inalterata la sua eleganza quasi millenaria strizzando l’occhio al futuro. Mèta ambita per i turisti di tutte le età, luogo di interesse per i ‘malati’ di calcio che vogliono assistere ad una delle partite più antiche di tutta Europa escludendo la Gran Bretagna.

Due società nate al calare del diciannovesimo secolo con continui confronti vista la vicinanza dei rispettivi campi fino a diventare la rivalità più accesa di tutta la nazione con gli immancabili intrecci politici e sociali che permeano le realtà sovietiche. Impossibile non ricordare il Dukla, vecchia gloria del calcio ceco legata all’esercito, o il Bohemians 1905 che ha per sempre legato il suo nome a quello di Antonin Panenka, bandiera del club ed eroe nazionale che ha trascinato la Cecoslovacchia alla vittoria dell’Europeo 1976 entrando nell’immaginario collettivo con l’invenzione del ‘cucchiaio’. In questo contesto mistico si inseriscono Sparta e Slavia che hanno catalizzato il calcio boemo.

Nome completo è Athletic Club Sparta Praha, un club entrato nella leggenda grazie ad una iniziativa di tre fratelli: Vaclac, Bohumil e Rudolf Rudl. Era il 17 dicembre 1893 si tenne la prima riunione del nuovo club quando vennero scelti i colori sociali: il blu per simboleggiare l’Europa, il rosso per la città reale e il giallo rimasto purtroppo ignoto. La maglia però era completamente nera con una grande ‘S’ sul petto bianca, solamente nel 1906 si passò al rosso sulla divisa sociale grazie al presidente Petrik rimasto affascinato dalla maglia dell’Arsenal dopo un viaggio a Londra. Il cuore pulsante del tifo dello Sparta risiede nei quartieri di Letna e Holesovice con la Moldava a separarli. È la Praga della working class come sempre rivendicato dai supporter.

Bisogna spostarsi di qualche chilometro per entrare a Vinohrady e Vrsovice, quartieri intellettuali della capitale ceca in cui risalgono i natali dello Sportovní Klub Slavia Praha. Club sempre vicino agli ambienti borghesi e non a caso fondato da alcuni studenti di medicina il 2 novembre 1892 come società ciclistica che ha esteso la sua sfera di interesse al calcio nel 1896.
A differenza dei cugini, i colori sociali non sono mai stati modificati: il bianco come emblema del fair play e degli ideali olimpici e il rosso a simboleggiare il cuore. La stella rossa presente sullo stemma e sulle maglie indica la speranza.

Un confronto iniziato nel 1896 e che ancora oggi polo attrattivo della Repubblica Ceca. In mezzo anni bui dove la rivalità era lentamente scemata per cause politiche, era il 1948 quando il partito comunista salì al potere instaurando la dittatura calcistica della squadra dell’esercito, il Dukla. Un club favorito da leggi ad hoc che gli consentiva di tesserare gratuitamente qualunque calciatore avesse prestato servizio militare anche se di appartenenza ad un’altra società. Se l’estrazione popolare salvò lo Sparta Praga, la connotazione borghese dello Slavia divenne una condanna a morte. Un esodo di calciatori che raggiunse l’apice nel 1951 quando il club si ritrovò senza nessun giocatore a disposizione e quindi l’obbligo di schierare i ragazzi delle giovanili con cui arrivò la prima storica ed umiliante retrocessione.

Ora sono tornati a duellare per il vertice con, occasionalmente, l’incursione di un terzo incomodo come il Viktoria Plzen. Il fascino però rimane tutto nei loro infiniti duelli capaci di tenere nella capitale la bellezza di 57 titoli nazionali a cui si aggiungono 26 coppe di lega. Entrambe a secco in ambito internazionale ma hanno il merito di aver lanciato nel panorama continentale giocatori di livello assoluto come Petr Cech e Pavel Nedved, scuola Sparta. Senza dimenticare l’importanza per il calcio italiano avuta da Čestmír Vycpálek, cresciuto nello Slavia, che sbarcò alla Juventus nel dopoguerra per poi diventarne anche allenatore. Conosciuto anche con il nomignolo di Cesto, la sua passione per il calcio la trasmise al giovane nipote Zdenek Zeman che in Italia ha costruito una intera carriera.

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