di Roberto Bernabai – Nel corso della mia attività professionale ho avuto la fortuna di occuparmi con assiduità della Liga spagnola. Ho commentato moltissime partite assieme a indiscussi esperti di calcio come Giacomo Bulgarelli, Ilario Castagner, Giancarlo “Picchio” De Sisti e altri. Da ciascuno di loro ho imparato cercando di apprendere le nozioni basilari di questo sport con attenzione e profonda umiltà.
I ricordi sono tantissimi e spesso si sovrappongono, dalle difficoltà iniziali nel preparare le telecronache che in gran parte venivano commentate in studio quando Internet era ancora solo una prospettiva, alle tante trasferte affrontate in occasione di confronti di altissimo livello. Inutile dire che tra le esperienze più gratificanti che un telecronista di calcio possa vivere c’è senza ombra di dubbio e per distacco “El Clasico” Real- Barca.
Ho avuto l’opportunità di commentarne diversi, sia al Santiago Bernabeu come al Camp Nou. Ed è proprio in Catalunya che forse ho vissuto l’esperienza più straniante, probabilmente la più surreale della mia carriera.
E’ il 23 novembre del 2002 il sottoscritto assieme a Giancarlo De Sisti si appresta a raccontare una partita che rimarrà nella storia per un fatto che marcherà in modo ancora più netto l’odio divisivo che separa storicamente i tifosi del Barcellona da quelli del Real Madrid.
Già dal giorno prima l’atmosfera che si respira in città è carica di tensione. Il popolo blaugrana a due anni di distanza dal tradimento di uno dei suoi idoli più amati e apprezzati non ha e non ha voluto dimenticare. I fischi e la panolada riservati a Luis Figo nella stagione precedente alla sua prima con la maglia blanca, non hanno saziato la sete di rivalsa nei confronti di quello che è ormai considerato solo un traditore mercenario. L’amore infinito per il fuoriclasse portoghese si è trasformato in un sentimento insopprimibile ed è arrivato il momento di dimostrarlo in tutta la sua portata.
Il trasferimento di Figo al Real Per la cifra record di 140 miliardi ,fu il colpo promesso e centrato grazie al quale Florentino Perez aveva sconfitto il rivale Lorenzo Sanz nella corsa alla presidenza della Casa Blanca.
Un colpo clamoroso che di fatto aveva avviato l’epoca che passerà alla storia del calcio come quella dei “Galacticos”. Perez aveva avviato una campagna acquisti senza precedenti che l’anno dopo avrebbe portato nella capitale Zinédine Zidane, Ronaldo nel 2002 , David Beckham nel 2003 e Michael Owen l’anno seguente. Un gruppo stellare completato da Steve Mc Manaman arrivato a Madrid dal Liverpool alla fine del vecchio millennio.
Figo era reduce da 5 stagioni in maglia blaugrana, protagonista di primo piano nel Dream Team guidato da Johann Cruijff.
La sua classe, le sue serpentine, la sua intelligenza tattica lo avevano consacrato idolo assoluto del Camp Nou. Il trasferimento alle odiate merengues, non poteva quindi che generare una reazione permeata da un odio senza confini. Ed è nella serata del 23 novembre di 21 anni fa che consuma qualcosa che rimarrà nella storia della Liga spagnola per la violenza non solo verbale che fa da scenario al “Clasico”.
Lo stadio si presenta tappezzato da striscioni che esprimono in vario modo un unico concetto: ti abbiamo amato tanto quanto ora ti odiamo. La partita inizia in una bolgia sonora che raggiunge decibel inusitati ogni qualvolta il pallone arriva al portoghese. La gara però si trascina senza particolari emozioni. Entrambe le squadre soffrono l’atmosfera prossima all’isteria che pervade gli spalti del Camp Nou. Intorno alla mezz’ora la difesa del Barca devia in calcio d’angolo un cross di Raul Bravo. Figo non si tira indietro dirigendosi verso la bandierina del corner, sembra quasi un ulteriore insulto, un’altra insopportabile provocazione.
Dagli spalti inizia a piovere di tutto ma Figo calcia sfiorando il gol del clamoroso oltraggio. La palla finisce ancora in angolo ma nel frattempo la rabbia dei tifosi blaugrana ha raggiunto un livello di guardia ed esplode in tutta la sua ferocia.
Il “Traditore” diventa il bersaglio di una contestazione che rischia di metterne a rischio l’incolumità. Figo viene sfiorato da monetine, accendini e altri oggetti di vario genere. Sul prato arrivano persino alcune bottiglie di whiskey. Nella baraonda che si scatena e che costringe l’arbitro Medina Cantalejo a interrompere la partita per 15 minuti, non tutti si accorgono immediatamente di un episodio che più di ogni altro segnerà la storia di quel match che si concluderà con con un insignificante 0-0.
Il giorno dopo sulle prime pagine dei quotidiani spagnoli campeggia infatti un’immagine che ancora oggi racconta più di ogni altra un qualcosa che mai si era visto su un campo di calcio. Sul prato del tempio calcistico catalano , poco distante dai piedi del giocatore, giace una testa di maiale. Un gesto premeditato e messo in atto che costituisce la macabra sintesi di un sentimento disperato, la raffigurazione di un amore che si trasforma in una rabbia sconfinata perché generata dalla più crudele delle disillusioni.
Giorni dopo Figo dichiarerà di non essersi neppure accorto di quell’insulto ripugnante: l’ennesimo tra i tanti: “C’erano talmente tanti oggetti sul campo che quella testa di maiale non l’ho proprio vista”.
Parole pronunciate quasi con distacco, con la freddezza del professionista senza remore o rimorsi. Noi che possiamo dire “c’eravamo” non abbiamo dimenticato. Resta difficile non immaginare che in qualche modo nei ricordi di Luis Figo quella serata ancora oggi non possa riaffiorare come un incubo impossibile da rimuovere.
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