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Accadde oggi – 5 novembre 2007: addio a Nils Liedholm

Dal Gre-No-Li ai successi sulle panchine di Milan e Roma

di Marco Schiacca – Il 5 novembre del 2007, all’eta di 85 anni, muore Nils Liedholm, calciatore, allenatore del Milan della prima “stella” e del secondo scudetto della Roma.

Uno svedese atipico Nils, nato a Valdemarsvik, una cittadina di tremila abitanti sul mar Baltico dove il sole in certi periodi dell’anno lo vedi al massimo per sei ore al giorno, e morto a Cuccaro nel Monferrato nella provincia di Alessandria, dove invece il sole è sempre vivo e coccola le vigne di Barbera Ciarìa e di Grignolino che daranno vita al suo vino diventato con il tempo l’altra grande passione dopo il calcio.

Dalla Svezia a Milano

Questo giovane svedese dal fisico possente era destinato a fare il ragioniere e a diventare un giocatore di bandy, uno sport simile all’hockey su ghiaccio molto praticato in Svezia. Ma il destino spesso lo si incontra sulla strada presa per evitarlo, come disse Jean De La Fontaine. Infatti Nils, nonostante continuasse a svolgere il lavoro di consulente fiscale, così come desiderava suo padre, comincia anche a far sul serio con il calcio fino a vincere il titolo nazionale del suo paese vestendo la maglia del Norrköping. Il suo arrivo tardivo al calcio professionistico, avvenuto intorno ai 24 anni, non è cosa consueta, ma non gli impedisce di approdare alla Nazionale in età già avanzata ma sufficiente per regalargli poi grosse soddisfazioni come quella di contendere la finale di un mondiale al Brasile di Pelè nel 1958.

Liedholm in nazionale gioca poco, ma solo perché la federazione svedese in quel periodo non ammette giocatori professionisti, regola poi rivista prima del Mondiale in Svezia, competizione in cui Nils segna il gol del momentaneo 1-0 nella finale contro il Brasile che poi vincerà per 5-2. Quel gol è tutt’ora un record: nessun giocatore più “anziano” del trentaseienne Liedhlm riuscirà più a segnare in una finale della Coppa del Mondo.

All’epoca di quel mondiale, Liedholm è in Italia già da 9 anni. Arriva infatti a Milano nel 1949 convinto da un’altra leggenda, il connazionale Gunnar Nordahl, dopo aver promesso al padre che la sua avventura lontano da casa sarebbe durata al massimo un paio di anni, ma non andò così. In realtà al Milan rimane fino al 1961 da giocatore e fino al 1966 da allenatore. Più un paio di ritorni uno dei quali portò ai rossoneri “la stella” del decimo scudetto nel 1979.

Non sarà il Milan però a regalargli le maggiori soddisfazioni da tecnico. Dopo le esperienze sulle panchine di Verona, Monza, Varese e Fiorentina, approda per la prima volta su quella della Roma nel 1973. Sarà con la squadra della Capitale che conquisterà più vittorie in carriera. Dopo la prima esperienza in giallorosso, Nils torna al Milan, vince il suo unico tricolore con i rossoneri e sarà il primo allenatore dell’era Berlusconi, presidente con il quale spesso scambia frecciate.
Il gioco che fa non è funzionale al gol” dice Berlusconi dopo una partita, non si fa attendere la risposta sagace del Barone: “Lui molto bravo, capisce di calcio: è stato allenatore dell’Edilnord”. 

L’esperienza a Roma

Liddas, così lo chiamano da tempo, arriva a Roma per guidare una squadra che non promette vittorie importanti da li a poco. Inizia a stupire azzardando la sua prima “zona” con Santarini e Turone arrivati alla soglia della trentina e prima di allora schierati unicamente da “libero”, uno al fianco all’altro al centro della difesa. Nell’anno dello scudetto, ci riprova arretrando il non proprio velocissimo Agostino Di Bartolomei supportato però dalla freccia Pietro Vierchowod. In un Roma-Napoli inventa Pruzzo a marcare Kroll, difensore abilissimo impostazione, per soffocare sul nascere il gioco avversario.

Il calcio del Barone era fatto di possesso palla e della copertura perfetta degli spazi, condita dalla sapienza calcistica del fuoriclasse Falcao, in cui dirà di rivedersi, e di altri grandi giocatori che trovò a Roma, tra questi sicuramente Bruno Conti, che porteranno i giallorossi prima a trionfare in Italia e poi a sfiorare l’impresa in Europa.
Sarà lui il segreto della crescita di giocatori come Ancelotti o Nela e della consacrazione di Di Bartolomei e Pruzzo. Liedholm riesce a sfruttare al massimo le ultime fiammate di Maldera e Prohaska. Come ogni altro allenatore anche lui ha i suoi “pallini” che in quel momento portano il nome di Valigi, Faccini e Strukelj.

Alla fine della seconda avventura in giallorosso, terminata con la finale di Coppa Campioni contro il Liverpool, lo svedese potrà raccontare di aver vinto uno scudetto e tre Coppa Italia. Tornerà nella capitale nel periodo 1987- 1989 e poi nel 1997 per correre in aiuto a una Roma in difficoltà dopo l’esonero di Carlos Bianchi.

I suoi aneddoti

Oltre alla carriera professionale, dello svedese più famoso nel calcio italiano insieme a Ibrahimovic e forse anche Eriksson, è d’obbligo ricordare la fine e intelligente dialettica. Liedholm era capace di stemperare qualsiasi situazione, non conosceva scatti di rabbia quando subiva un torto, né eccedeva in particolare euforia in caso di successi. Era pacato, riflessivo e decisamente molto pungente. Sapeva quando tacere e quando affondare il colpo, sempre con grande eleganza.

Molte delle sue frasi e dei suoi aneddoti rimarranno nella storia. Raccontava spesso di aver giocato 6 mesi con una frattura, di aver ricevuto l’applauso e la standing ovation di San Siro per aver sbagliato un passaggio dopo due anni, o di aver rischiato di segnare un autogol colpendo con un forte tiro la traversa della porta avversaria. Amava i paradossi, tra i più noti la convinzione che si giocasse meglio in dieci che in undici. Oppure durante una puntata della Domenica Sportiva dopo una gara tra Milan e Juventus: a un giornalista che lo incalzava sostenendo che avesse rinnegato “la zona” facendo marcare Michel Platini a uomo da Filippo Galli, rispose: “No, era Michel che andava sempre dove c’era Filippo”. 

Quando a fine partita gli chiedevano chi fosse stato il migliore in campo, citava sempre il peggiore che, nel migliore dei casi, avrebbe destinato alla panchina nella gara successiva.

Memorabile il “tranello” a un suo giocatore non in perfette condizioni: “Stai bene? Allora ce la fai a salire le scale delle tribuna...”.

Terminata la carriera di allenatore, Liedholm si dedica alla Tv come opinionista e commentatore ma la sua priorità è il vino e la vita nella campagna di Cuccaro. “Mi godo la giovinezza, adesso che sono vecchio…” E’ lì che produce le sue bottiglie con il figlio Carlo valorizzando quei terreni che aveva acquistato nel 1973 convinto da sua moglie, la contessa Maria Lucia Gabotto di Sangiovanni.

La superstizione

Quando si pensa a uno svedese, l’ultima delle caratteristiche che arriva alla mente è la superstizione. E invece chi lo ha conosciuto giura che Nils lo fosse parecchio. Pietro Vierchowod ricordava spesso un gustoso aneddoto: “Una volta metto per sbaglio il suo cappotto: nelle tasche c’era di tutto, ma proprio di tutto: sale, ciondoli, amuleti, boccettine, cornetti…

Trapattoni raccontava invece un episodio legato alle maglie: “Non potevamo prenderle, doveva consegnarle lui. Una volta, l’ho strappata dal mucchio, tanto sapevo il numero. Mi ha guardato malissimo: “Se succede qualcosa la colpa è tua. Non farlo più, capito?” 

E’ rimasta nella memoria anche quella volta in cui, a causa di un contrattempo, la Roma fu costretta a pernottare in un albergo di Busto Arsizio prima di una trasferta a Milano, un albergo non proprio a cinque stelle. Caso volle che dopo anni e anni i giallorossi tornarono a vincere a San Siro. Ovviamente quell’hotel diventò tappa obbligata nelle successive trasferte milanesi.

L’addio

Il Barone se ne va il 5 novembre 2007. Insieme a Gunnar Gren e Gunnar Nordhal, è stato protagonista del mitico trio Gre-No-Li, nella Nazionale svedese e nel Milan negli anni ’50. E’ stato il calciatore che in 394 presenze in Serie A impreziosite da 89 gol, non ha mai preso un cartellino giallo. E’ stato l’allenatore della prima “stella” rossonera e del miracolo giallorosso. E’ stato un uomo elegante, divertente ma anche molto severo e risoluto nelle segrete stanze del calcio.
Nei miei personali ricordi giovanili è stato, e rimarrà, l’omone con lo zuccotto giallorosso, le mani in tasca con i pollici di fuori e i pantaloncini sempre corti anche d’inverno. Un uomo saggio e rassicurante. Forse uno svedese per sbaglio.

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