Ricordi di Calcio: così Prohaska rifiutò l’intervista a Maurizio Mosca

di Silio Rossi – Fasullate, interviste inventate. In passato è successo di tutto, ma anche oggi c’è la certezza che da una sola battuta possano venir fuori moltissime righe stampate sul giornale.

Ai miei tempi capitava soprattutto che un calciatore, quando non aveva soltanto voglia, si rifiutasse semplicemente di rispondere al giornalista, anche alle domande più banali. I motivi erano i più disparati: c’era chi non voleva esporsi troppo; chi temeva una cazziata dell’allenatore, perché magari era andato fuori tema; chi si preoccupava della reazione dei compagni di squadra, nel caso fossero stati chiamati in causa per qualche errore commesso in campo. Addirittura c’era chi voleva evitare di sborsare una eventuale multa se le dichiarazioni pubbliche non fossero piaciute a società e dirigenti.

Però poteva anche accadere, che un giocatore di vedesse “sbattuto” in prima pagina con virgolettati che non aveva mai pronunciato. Insomma la classica intervista fasulla, un machiavellico espediente che era necessario percorrere se non si era stati capaci di trovare un motivo, una frase, una battuta che, adeguatamente “lavorata”, avrebbe potuto salvare la giornata del cronista e regalare un titolo al centro della pagina.

Non abbiamo mai saputo se questa fosse l’intenzione di Maurizio Mosca, grande giornalista, prima firma alla Gazzetta dello Sport, esperto di pugilato, ma con “licenza” di affacciarsi anche al calcio. Nel 1983 (è passata una vita) della famigerata intervista di Mosca a Zico si discusse per settimane. Il brasiliano, che Italia perché tesserato dall’Udinese, giurò di non averla mai rilasciata e se ne lamentò giustamente parlando da casa con lo studio della trasmissione di Aldo Biscardi: “In Brasile mi è spesso successo che da una mia semplice frase ne sia uscita un’intera pagina, ma non mi è mai capitato di aver dato spazio a un’intera pagina di un giornale, senza aver aperto mai la bocca. Non conosco Mosca, non ho mai parlato con lui“.

L’episodio costituì motivo sacrosanto per tappare prudenzialmente la bocca a tutti gli atleti e dirigenti che incrociavano l’inviato della Gazzetta.

Il caso volle che in uno dei pre-partita che la Roma viveva nell’hotel Europa di Busto Arsizio, il buen retiro scelto scaramanticamente da Liedholm quando la squadra era impegnato al Nord (ma non solo), Mosca fece squillare il telefono della zona ricevimento per parlare con qualche giocatore giallorosso. I capitolini si trovavano lì proprio perché tre giorni dopo avrebbero affrontato una partita delicata con l’Inter.
Il giornalista della Gazzetta cercava un gancio che gli potesse garantire qualche dichiarazione su quel difficile match, ma la signorina del centralino, visto quanto era successo con Zico, non riusciva a trovare un romanista disposto a entrare nella cabina per rispondere alle domande di Mosca.

Il salottino di quella hall era pieno di possibili interlocutori, ma tra una risata e una battuta e l’altra nessuno di quelli voleva accettare la telefonata con la Gazzetta.

Mosca aveva chiesto di Maldera, di Tancredi oppure di Roberto Pruzzo. Figurarsi. Tutti muti ad aspettare la vittima che si sarebbe sacrificata al colloquio.
Come ultimo tentativo disperato, Mosca giocò il nome di Herbert Prohaska, il centrocampista che aveva avuto spazio qualche anno prima proprio nell’Inter. L’austriaco se ne guardò bene dal presentarsi al telefono ma alla sua tagliente maniera si preoccupò di “dettare” alla signorina della reception la frase da riferire letteralmente al giornalista: “Per favore, dica a Mosca che non posso parlare, perché ho un brutto male alla gola“.