di Andrea Iustulin – Israele è un paese giovane politicamente ma il suo territorio è antico, enigmatico e complicato. Crogiuolo di culture e di conflitti che partono in epoca precristiana fino a oggi con la questione Palestina che riempie le pagine dei giornali. Se la pallacanestro ha avuto la ribalta internazionale, il calcio non è da meno per passione e seguito con una delle partite più accese del Medio Oriente. Una eredità delle forze armate britanniche dispiegate in Palestina che avevano formato diverse squadre di ‘football’ e una di queste, la polizia militare, è detentrice di uno dei campionati antecedenti alla creazione dello Stato d’Israele.
La nostra storia però non riguarda Gerusalemme, capitale amministrativa dello Stato, la protagonista della nostra storia è Tel Aviv. Fiorente città che affaccia sul Mar Mediterraneo, autentico motore economico di Israele e considerata la principale roccaforte della cultura laica e liberale.
Questo è il derby delle polisportive di Maccabi e Hapoel. Come al solito, la premessa è d’obbligo. Le lotte politiche e ideologiche sono alla base della creazione dei club che sono state per lungo tempo il motore sportivo del paese essendo le uniche in grado di mantenere delle strutture sportive funzionanti ed efficienti.
Il Maccabi è l’espressione del ceto borghese, divisa gialla che negli anni si è arricchita con il blu con un percorso apolitico e neutrale. Si professano i successori di Giuda Maccabeo e hanno fondato il club nel 1906 quando ancora non esisteva lo Stato di Israele così come nemmeno Tel Aviv che sorse tre anni più tardi da immigrati ebrei nei sobborghi della città portuale di Jaffa. Nel 1922, il Maccabi Tel Aviv divenne il primo club ebraico a partecipare alla competizione calcistica locale, che all’epoca era composta solo da squadre arabe. Oltre al nome, l’eredità ebraica e l’idea sionista sono simboleggiate dall’emblema del club, che ha la forma di una Stella di Davide.
L’Hapoel è stata formato negli anni Venti e ha scelto il colore rosso, espressione dello strato proletario della società. Promuoveva lo sport popolare e non agonistico vantando il motto: “Sport per le masse e non per i campioni”. Questo slogan è rimasto il cuore pulsante del club nonostante l’arrivo del professionismo mantenendo una forte propensione al tesseramento di calciatori arabo-israeliani.
Dal leader della squadra durante gli anni ‘80 Rifat Turk fino al difensore palestinese Walid Badir, capitano della squadra campione nel 2010. L’Hapoel Tel Aviv patrocina, inoltre, sin dal 1997, il progetto “Mifalot” che prevede la partecipazione di bambini e ragazzi israeliani, palestinesi e giordani a diverse discipline sportive con l’obiettivo di plasmare la pacifica coesistenza fra i tre popoli. Tali politiche, molto promettenti nell’ambito del processo di pace israelo-palestinese, rendono l’Hapoel Tel Aviv la squadra più amata tra gli arabo-israeliani, insieme al Maccabi Haifa. I tifosi sono schierati politicamente a sinistra utilizzando simboli comunisti ad ogni partita. Hanno sempre patteggiato per una pace fra israeliani e palestinesi e contemporaneamente sostengono la divisione di Gerusalemme, al fine di assegnarne la parte orientale ai palestinesi o di restituirla alla Giordania.
Un duello continuo in campo e sugli spalti con diversi episodi di violenza che hanno portato alla sospensione delle partite molte volte. La rivalità sociale alla base della disputa ma anche la supremazia calcistica con il Maccabi Tel Aviv assoluto dominatore del calcio israeliano con 23 titoli conquistati mentre l’Hapoel insegue con 11 campionati vinti. Il terzo incomodo è il Maccabi Haifa che annovera 15 scudetti ed è campione in carica.
Lo scenario del derby è lo stadio Bloomfield di Tel Aviv. Questo impianto ospita le due squadre sin dalla sua apertura negli anni ’60. Da allora, è stato oggetto di numerosi rinnovi e ristrutturazioni fino alla capienza attuale di 30.000 spettatori.
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