di Roberto Bernabai – L’avventura romanista di José Mourinho si è conclusa tra le righe di un comunicato asciutto ed inatteso con il quale la proprietà ha deciso di chiudere anzitempo il rapporto con uno dei più grandi allenatori nella storia del calcio. La proprietà silente ha scelto tempi e modi, rapidamente assimilati dalla tradizione tutta italica, per attribuire a un solo soggetto, il più rappresentativo il più amato dalla piazza, responsabilità evidentemente collettive.
La parte di responsabilità di pertinenza dello “Special One” comprende, oltre alla deludente sequenza di risultati che al momento relegano la Roma in una posizione di retroguardia, gli atteggiamenti sprezzanti, le dichiarazioni sempre al limite della provocazione nei confronti della società, le continue bufere scatenate e alimentate contro arbitri e sistema.
Il rapporto logoro e faticoso con i Friedkin ha portato alla decisione finale. Un epilogo che già aleggiava dopo la sconfitta nel derby di Coppa Italia, come ipotesi traumatica e propedeutica per il rilancio di una squadra precipitata nel frattempo in un grigiore sconcertante. Mourinho lascia una città, per la parte giallorossa, che lo ha amato immediatamente e follemente, senza se e senza ma. Una tifoseria che ha visto in lui l’uomo della provvidenza in grado di restituire alla storia romanista quella dignità e quella rappresentatività smarrite nel corso della gestione Pallotta. Un amore senza confini, un’apertura di credito illimitata che ha riacceso la passione ed il senso di appartenenza consolidato dalla vittoria in Conference League e da una finale in Europa League persa a Budapest per le sciagurate decisioni di un arbitro inglese neppure meritevole di menzione.
La gente romanista ha osannato e perdonato, compreso, condiviso, approvato ogni singolo gesto, ogni singola dichiarazione dello “Special One”. L’uomo, divisivo per definizione, ha compattato come mai nessuno, una piazza che ora avverte un senso di sconcerto e smarrimento.
Mourinho paga il conto delle proprie responsabilità, ma anche quelle di una società “sui generis”. Una proprietà silenziosa che ha affidato al proprio allenatore, chissà se per scelta o per forza d’inerzia, il compito di gestire senza filtro la comunicazione.
L’assenza di un personaggio credibile e rappresentativo in grado di mediare e farsi interprete del pensiero societario ha finito per esasperare i concetti e di conseguenza i rapporti.
Poi i limiti tecnici e caratteriali di una squadra evidentemente sopravvalutata e certamente al di sotto delle aspettative e dei progetti concordati con il tecnico all’ inizio del rapporto.
Ora tocca a Daniele De Rossi assumersi l’onere di raccogliere un’eredità pesante ed ingombrante come nessun’altra. Capitan Futuro è nel cuore della gente, affidarsi a lui sa tanto di scelta populista per contenere la rabbia di chi non si rassegna all’addio di Mourinho.
La sua storia da calciatore della Roma è viva ed indimenticabile, quella da allenatore è appena iniziata perché la sua esperienza è per forza di cose ancora limitata e in piena fase di apprendimento. Carisma, storia personale e dedizione totale saranno sufficienti per imprimere una svolta decisiva?
A questo potrà rispondere solo il tempo.
Leave a comment