di Andrea Iustulin – Sul mappamondo lo si trova come Iran, per gli appassionati di storia si chiama Persia e comprende una area geografica molto più vasta che ha visto i primi abitanti fin dal Paleolitico. Dopo oltre diecimila anni è ancora un territorio ricco di cultura che ha visto nascere una delle rivalità calcistiche più accese del pianeta anche se celate in un campionato con poca ribalta internazionale. Parliamo del derby di Teheran che vede di fronte i rossi del Persepolis Football Club e i blu dell’Esteghlal Cultural and Athletic Club.
La prima stracittadina risale al 5 aprile 1968, lo scenario era l’Amjadieh Stadium e terminò con uno scialbo 0-0. Scialbo però solo sul terreno di gioco, perché sugli spalti cominciò una rivalità che andava oltre il calcio permeando la società stessa della capitale iraniana. Il Persepolis rappresenta l’anima operaia della città mentre
è visto come il club vicino all’establishment con i tifosi dell’upper class.
I rossi nascono nel 1963 su iniziativa del pugile Ali Abdo che fondò la polisportiva con la sezione calcio che vide i suoi natali nel 1968 accogliendo molti giocatori dello Shahin FC, club dissolto per volere dell’Organizzazione Sportiva Iraniana a causa della troppa popolarità che aveva acquisito. Inevitabile quindi la simpatia della parte proletaria di Teheran per la nuova società calcistica. Un palmares di quindici campionati iraniani che lo rendono il club più titolato del paese a cui aggiunge sette Coppe d’Iran e una Coppa della Coppe Asiatica nel 1991.
I blu invece risalgono al 1945 con il nome di Taj Mahal Football Club, in persiano Taj significa corona e questo restituisce l’identità collettiva della squadra sempre vicina alla famiglia reale e alla classe dirigente del paese. La rivoluzione islamica del 1979 porta il club nelle mani del nuovo governo appena insediato che modifica il nome in Esteghlal Cultural and Athletic Club. L’ingerenza della politica ha sempre avuto un peso specifico nel destino del club come ha raccontato Andrea Stramaccioni di ritorno dall’esperienza semestrale sulla panchina dell’Esteghlal nel dicembre 2019. In ambito nazionale inseguono i rivali con dieci campionati vinti e sette Coppe d’Iran ma in ambito internazionale possono vantare due successi nella Champions League asiatica ottenuti nel 1971 e nel 1991.
Una rivalità atavica che scorre nel sangue persiano dei quindici milioni di abitanti di Teheran che spesso è sfociata in episodi di violenza sugli spalti come in campo. Il caso più tristemente celebre risale al 29 dicembre 2000 quando il portiere dei blu Parviz Brounmand e l’attaccante dei rossi Payan Rafat scatenarono una rissa che coinvolse l’intero stadio. Ore di panico che sfociarono in una vera e propria guerriglia urbana anche nelle vie della città con diversi feriti e 250 autobus distrutti.
La federazione ha quindi reagito spostando la sede della partita o designando arbitri stranieri per scongiurare sospetti di imparzialità, chiedere agli italiani Pasquale Rodomonti e Roberto Rosetti.
Ufficialmente 78mila ma realmente si sfiorano le 100mila persone a riempire lo Stadio Azadi, oltre 20 milioni di spettatori collegati in diretta televisiva. Numeri che spiegano perfettamente l’importanza di questi novanta minuti, ulteriore testimonianza arriva dall’ex difensore della nazionale iraniana Mohammad Taghavi: “L’intera stagione delle due squadre dipende da questa partita, puoi chiudere quinto o sesto in classifica ma vincere il derby può essere più importante della vittoria stessa del campionato”.
Tra la voglia di vincere e la paura di non perdere, non è un caso che il pareggio diventa il risultato più classico.
Statistica rispettata giovedì sera quando un rigore al 97’ di Arthur Yamga ha permesso all’Esteghlal di trovare l’1-1 dopo l’iniziale vantaggio del centrocampista del Persepolis Omid Alishah. Per novanta minuti l’Iran si è fermato, il calcio ha dimostrato ancora una volta di poter superare i problemi politici e sociali di un paese in piena rivolta popolare contro la Repubblica Islamica.
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