di Silio Rossi – Per un giorno sono salito in cattedra. Mi hanno chiamato “professore” e mi hanno regalato una mattinata di attenzione e simpatia. È successo a Puebla de Los Angeles, più semplicemente Puebla, in Messico, dove ai Mondiali di calcio del 1986, la Nazionale italiana aveva fissato il suo ritiro per difendere il titolo che aveva conquistato quattro anni prima in Spagna.
L’arrivo degli azzurri e di tutto il seguito, aveva scosso dal torpore questa città antica, caratteristica, ma drammaticamente piena di problemi. Raddoppiati in quel periodo dal terremoto che l’anno prima aveva colpito diverse zone del Paese e che aveva addirittura fatto temere che i campionati del mondo avrebbero potuto essere trasferiti in un’altra nazione dell’America Centrale.
Ma fu deciso che si doveva giocare lì e che tanti giorni di calcio sarebbero stati un toccasana, una grandissima occasione per far dimenticare il terremoto e gli altri guai.
L’Italia arrivò a Puebla e, da campione uscente, attorno a sé non trovò un clima proprio affettuoso. Era stata preceduta da tanto clamore, per cui c’era molta curiosità, un’attesa particolare. La cosa si percepì già dai primi incontri con i giornalisti: Enzo Bearzot veniva continuamente sollecitato, con domande provocatorie, a svelare quale fosse il ruolo della formazione azzurra, bella a Barcellona e Madrid, ma molto “risicata” nel girone di Vigo.
Né aiutavano i giornali locali, in particolare i pezzi de “El Sol de Puebla”, che l’aveva presentata come una truppa di compagnoni, di turisti. Insomma una squadra distratta e forse appagata da quanto accaduto in Spagna.
In più c’era bisogno che, per la tranquillità e forse l’incolumità del gruppo azzurro, venisse riservata una maggiore attenzione da parte delle istituzioni e controlli più mirati da parte delle forze dell’ordine. Questo perché qualcuno aveva addirittura ipotizzato attentati.
Allora andammo in tre dal capo della polizia, grazie a sua figlia Maria Eugenia. Era una studentessa che, insieme ad altre, stazionava spesso nella hall dell’albergo dove alloggiavamo. Così al grido: “Ci sono le donne” iniziammo un’amicizia con queste ragazze, colte, bellissime, affettuose, che in cambio ci chiedevano soltanto portachiavi con lo stemma dell’Italia, bandierine, spillette da portare a casa e custodire in una ipotetica bacheca.
Tra loro c’era Maria Gabriela Diaz de Rivera Y Hernandez (tutto di seguito) all’ultimo anno della facoltà di lettere alla “Las Americas”, molto attenta ai nostri servizi e alla trasmissione in Italia.
Si fece coraggio e mi invitò, a nome della sua facoltà, a partecipare a un seminario dell’Università che frequentava. Il giorno dopo si sarebbe infatti parlato di calcio e dei Mondiali che da lì a pochi giorni sarebbero iniziati nelle città messicane designate. Fu talmente convincente che accettai, anche perché a lei serviva mostrare al Rettore il suo impegno e la sua bravura nel trovare chi avrebbe parlato dell’argomento.
Il mio era uno spagnolo imperfetto, smozzicato. Quattro parole messe insieme, apprese nel periodo del Mondiale spagnolo. Non ero pronto e temevo una brutta figura. “Non ti preoccupare” mi disse Maria Gabriele, “non devi fare una conferenza, ma devi rispondere alle domande che ti faranno i miei compagni di Università, ovviamente sul calcio, che in questi giorni, qui in Messico, è l’argomento di maggiore interesse“.
Ecco perché accettai, ed ecco perché di quella mattinata conservo un ricordo intenso. Avevo di fronte ragazzi interessati, studenti desiderosi di aggiungere alle loro conoscenze qualche particolare del mondo del calcio. Due ore. E alla fine fui gratificato da un’infinità di ringraziamenti, compresi quelli del rettore, presente all’incontro. La Federazione mi aveva consegnato una busta piena di gadget. Dovevate vedere con quanta delicatezza quei ragazzi accettavano quanto io e Maria Gabriela stavamo consegnando.
Con le ragazze messicane si strinse, ovviamente, un ottimo rapporto, una sorta di amicizia sentimentale. Spessissimo venivano a prelevarci con le loro auto per portarci a Città del Messico per qualche festa o cena improvvisata.
Quando l’Italia fu eliminata dalla Francia scoppiò la tragedia. E così mentre l’intera comitiva stava salendo sui pullman con i bagagli per tornare in Italia, le nostre amiche si sdraiarono davanti per impedire che si muovessero. Erano disperate, piangevano sinceramente e supplicavano gli autisti di non partire. Insomma si erano legate a noi con sincero affetto. Oggi si può raccontare, tanto sono passati gli anni e nei confronti delle nostre mogli il “reato è caduto in prescrizione“. Il Messico, soprattutto Puebla, regalò tante storie sentimentali, non soltanto semplici flirt, al punto che qualcuno, passata la sfuriata mondiale, è tornato in Messico. E non certo per turismo.
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