di Daniele Garbo – Calma e gesso. Abbiamo spezzato le reni alla Macedonia del Nord (che per altro in tempi recenti ci aveva dato parecchi dispiaceri), mica alla Francia o alla Spagna. Una golaeda azzurra di queste proporzioni non si vedeva da tempo, questo è vero, ma tutto va rapportato all’avversario.
Siamo a un passo dalla qualificazione a Euro 2024: per completare l’opera basterà non perdere con l’Ucraina lunedì sera a Leverkusen. Spalletti cambierà mezza squadra per avere gente fresca. Una scelta di buon senso, anche per evitare le solite lamentele dei club, che com’è noto vedono la nazionale come il fumo negli occhi.
Della serata dell’Olimpico rimangono luci e ombre. E’ piaciuto l’atteggiamento della squadra, la sua reazione furente dopo che la Macedonia aveva messo in evidenza i limiti della nostra difesa segnando due gol in pochi minuti.
Già, la difesa. Al netto delle molte assenze (11 infortunati più Di Lorenzo squalificato), è evidente che il reparto arretrato è quello che presenta le maggiori difficoltà. Esclusi i portieri, dove c’è un’abbondanza di alto livello come non si vedeva da tempo, è la qualità dei difensori a destare qualche preoccupazione. Senza fare nomi, ma c’è gente che nell’Italia degli anni ruggenti non avrebbe trovato posto neppure tra i convocati e ora gioca titolare. Forse sarebbe il caso che i tecnici dei settori giovanili cominciassero a insegnare come si marca un avversario. E’ come la grammatica: si impara alle elementari (appunto il settore giovanile) non all’università (la nazionale).
Siamo messi meglio a centrocampo, anche se la modestia del nostro campionato tende a farci scambiare per campioni dei giocatori che sono appena normali, come risulta chiaro non appena ci confrontiamo con nazionali di alto livello.
Spalletti ha richiamato Jorginho perché lo ha visto in forma in Premier League, ma il futuro non può essere lui. E soprattutto si prega il CT di non fargli più calciare i rigori: quattro sbagliati (due dei quali ci sono costati la qualificazione agli ultimi Mondiali) sembrano la prova definitiva che l’italo-brasiliano, quando si presenta dagli undici metri, va in confusione e la conferma che è meglio trovare un altro specialista dal dischetto.
In attacco si comincia a vedere qualcosa. Scamacca, Raspadori, Chiesa (quando sta bene) possono non farci rimpiangere Ciro Immobile, che per altro in nazionale non ha mai entusiasmato e non è stato neppure convocato da Spalletti per queste due partite decisive. Berardi è apparso evanescente così come Zaniolo, più fumo che arrosto.
Spalletti fa quello che può con ciò che passa il convento (come del resto faceva Mancini). Il suo valore aggiunto, la capacità cioè di costruire una squadra che giochi un calcio offensivo ed equilibrato, fa i conti, com’era facilmente prevedibile, con l’impossibilità di lavorare tutti i giorni. Insomma il modello Napoli non è replicabile in nazionale. Per il momento Spalletti può scegliere i giocatori più in forma e quelli più funzionali al suo progetto, può motivarli e convincerli a cercare un calcio propositivo. Può insomma cercare di tirare fuori il meglio dal materiale che gli offre la serie A.
Sapendo che non abbiamo fuoriclasse, non abbiamo campioni, ma soltanto qualche buon e qualche ottimo giocatore. Nulla di più. La riprova? Quanti azzurri giocherebbero titolari in una delle nazionali più importanti d’Europa? Forse uno o due, se va bene.
E’ questa la nostra dimensione. In attesa che nel nostro calcio nascano quattro o cinque Sinner (il nuovo fenomeno del tennis italiano e mondiale). Allora sì che i nostri orizzonti potrebbero ampliarsi fino a farci sognare di tornare ad avere una nazionale competitiva ai massimi livelli.
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