di Francesca Turco – Ci sono foto che non sbiadiscono con il tempo, che nei ricordi conservano gli stessi colori nitidi dell’attimo preciso fissato nello scatto. Per i tifosi genoani sono quelle di Gianluca Signorini, colui che è stato e sarà per sempre “IL” capitano.
Difensore fisico, moderno nell’interpretazione del ruolo, con grande senso della posizione e una leadership spontanea. Solido e instancabile, come quei camalli che lavorano giù, al porto di Genova.
Signorini inizia al Pisa, squadra sua della città in C1, girovaga tra Pietrasanta, Prato, Livorno, Ternana e Cavese, prima del salto in Serie B nel Parma di Arrigo Sacchi. Le sue qualità convincono la Roma e Nils Liedholm che lo farà esordire in Serie A già ventisettenne nell’87 e anche in Europa esattamente un anno dopo. Nonostante tutto, l’ambientamento nella Capitale si rivela complicato. Ne approfitta Aldo Spinelli, allora presidente del Genoa in B, che decide di accontentare il suo allenatore Franco Scoglio che lo reclama per organizzare la risalita.
Da quel momento il rosso e il blu rimarranno sulla pelle del Capitano ben oltre i 7 anni di permanenza, incancellabili come un tatuaggio. Sette anni di corse e rincorse, di brividi e scampati pericoli, di imprese centrate all’ultimo respiro, spettinato dalla fatica e dalla gioia, sempre lì, a gridare con la curva, con la fascia sul braccio. Duecentosette presenze, 5 gol, abnegazione e fedeltà totale. Roba da capitani veri.
Nel 1995 lascia il Genoa per chiudere il cerchio a Pisa che riporterà nel calcio professionistico dopo il fallimento prima di chiudere con l’attività agonistica e iniziare, sempre da lì, quella dirigenziale sognando un futuro da allenatore.
Ma i sogni spesso muoiono all’alba, come ammonisce il titolo del film scritto da Montanelli nel ‘61.
Il capitano scopre quasi subito di essere ammalato di SLA, morbo bastardo che, per motivi ancora sconosciuti, mette nel mirino soprattutto i calciatori, imprigionandone i muscoli impedendo pian piano ogni movimento. La SLA non è una diagnosi, è una sentenza. E’ una partita truccata di cui si conosce l’esito finale ma non quando e come si presenterà.
Per tutti gli amanti del calcio restano indelebili le immagini di quel 24 maggio 2001 al Ferraris, una serata organizzata per raccogliere fondi da destinare alla ricerca. IL capitano è ancora lì, come può, tra la sua gente, nello stesso abbraccio e nello stesso pianto di sempre. In campo, anche se l’unica corsa che gli è concessa ormai è contro il tempo.
Il suo messaggio, lucido e disperato, scava l’anima: “Vorrei alzarmi e correre con voi, ma non posso. Vorrei urlare con voi canti di gioia, ma non posso. Vorrei che questo fosse un sogno dal quale svegliarmi felice, ma non lo è. Vorrei che la mia vita riprendesse da dove si è fermata”. Sa fin troppo bene che la malattia non gli accorderà favori.
Signorini saluta per sempre il 6 novembre del 2002, chiedendo di indossare la maglia numero 6 del Genoa nel suo ultimo viaggio. Una maglia che nessuno vestirà più, ritirata come rispettoso gesto d’amore per l’eterno capitano.
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