di Roberto Bernabai – La storia del Calcio si compone di un insieme straordinario di capitoli che raccontano imprese eccezionali compiute da uomini altrettanto eccezionali. Qualcuno, forse esagerando, le definisce leggende. Si tratta in ogni caso di vicende di sport che hanno avuto un ruolo ben definito e in molti casi determinante, nell’evoluzione politica e sociale di tante generazioni.
Quella che voglio raccontare oggi trae spunto dal compleanno di un calciatore, ma soprattutto di un uomo, che assieme a un gruppo di compagni ha lasciato una traccia indelebile nel racconto universale dello sport più bello e amato al mondo.
Il suo nome è Rafael Martin Vazquez. Rafa nasce a Madrid il 25 settembre del 1965, ovviamente inconsapevole di ciò che il destino gli riserverà. Il calcio lo cattura e lo affascina sin da ragazzino, e per lui piccolo madrileno con la passione innata per il calcio il punto di riferimento, la meta più ambiziosa da raggiungere, diventa presto quella di vestire la camiseta blanca del Real.
La Spagna si sta risvegliando dal retaggio del franchismo che registra ufficialmente la sua fine nel 1975. L’ influenza di 40 anni di assoluto oscurantismo si protrarrà tuttavia ancora a lungo in un contesto fortemente condizionato sul piano sociale, politico e culturale. Il Paese vuole intraprendere strade nuove, rinascere riassaporando una libertà di azione e di pensiero troppo a lungo frustrata.
Lo sport ancora una volta si incarica di recitare un ruolo importante nella fase di passaggio. È in questo contesto che il calciatore in erba Martin Vazquez cresce e si forma. Diventerà, di lì a poco, uno dei protagonisti assoluti del football spagnolo ed europeo.
Il suo destino si intreccia fatalmente con quello di altri quattro giovani di grandi speranze e sui quali l’indimenticabile bandiera del Real Alfredo Di Stefano riporrà enormi aspettative. L’imperativo è quello di riportare il titolo nella capitale e spezzare così il momentaneo predominio delle squadre basche.
I ragazzi provengono tutti dal settore giovanile merengue, la cosiddetta cantera. La loro maturazione è stata affidata a un’altra figura leggendaria nella storia dei blancos: Amaro Amancio. È lui che intuendo le loro qualità li forma tecnicamente, correggendo i difetti di gioventù e quindi indirizzandoli in base alle rispettive caratteristiche naturali.
Martin Vazquez , Manuel Sanchís, José Miguel González detto Míchel, Miguel Pardeza e soprattutto Emilio Butragueño: “El Buitre”, questi i nomi dei cinque predestinati che contribuiranno a impersonare e consolidare la strada del rinnovamento.
La storia narra che fu Julio Cesar Iglesias, un giornalista de El Pais, ad attribuire al quintetto l’appellativo che ancora oggi li identifica. “Amancio e la Quinta del Buitre”, con questo titolo il 14 novembre del 1983 viene pubblicato il pezzo che forse contribuisce a rompere gli indugi di Di Stefano, all’epoca tecnico dei blancos, il quale decide di puntare sul talento dei cinque.
Il loro inserimento in un organico che comprende fuoriclasse del calibro di Valdano, Santillana e Hugo Sanchez, tanto per citarne alcuni, è sorprendentemente veloce. Martin Vazquez è un trequartista dai piedi squisiti, forte atleticamente e infaticabile anche nei ripieghi difensivi. Si farà apprezzare anche in Italia nel Torino. Michel si conferma centrocampista di assoluta intelligenza tattica.
Manuel Sanchis è lo stopper che insieme a Fernando Hierro viene ancora oggi considerato uno tra i migliori difensori spagnoli di sempre. Pardeza, forse il meno dotato dei cinque, troverà invece maggiori fortune con la maglia della Real Zaragoza.
Infine Emilio Butragueno: “El Buitre”. È lui il leader carismatico del quintetto. L’assonanza del suo cognome con l’appellativo di avvoltoio descrive meglio di ogni altro le movenze da rapace con le quali imperversa e colpisce nelle aree avversarie. È un fuoriclasse, un giocatore di classe cristallina ma anche un uomo che si pone verso il prossimo con quella modestia che attiene solo ai grandi in senso compiuto.
Come dicevamo, il loro inserimento è veloce quanto veloci sono i tempi con i quali arrivano i risultati. Già nella stagione 84-85 il Real torna a vincere la Coppa Uefa e dopo appena un anno ritrova il successo nella Liga con la conquista del 21esimo titolo.
A questo ne seguiranno altri quattro consecutivi in un crescendo inarrestabile di vittorie nazionali ed internazionali, che ricollocano la Casa Blanca al vertice del calcio europeo. Una generazione di fenomeni alla quale le statistiche attribuiscono un totale di 16 trofei. Un palmares eccellente con un unico rimpianto: la mancata conquista della settima Coppa dei Campioni.
Solo Manolo Sanchis, unico superstite del quintetto, riuscirà nella stagione 97-98 prima, e poi in quella 99-2000, proprio al tramonto del vecchio millennio, a concretizzare il sogno europeo. Ma la sua longevità agonistica rappresenta l’eccezione.
I ragazzi fantastici sono diventati ormai vecchi campioni al crepuscolo. Rafa e Michel prima di smettere hanno cercato fortuna altrove e il grande Butragueno ha già ceduto da tempo lo scettro a un ragazzino che scriverà altre pagine indimenticabili nella storia del club più titolato al mondo: il suo nome è Raul Gonzales Blanco.
Ancora pochi anni e poi, nell’immaginario collettivo, l’era dei “Galacticos” si sovrapporrà a quella della “Quinta del Buitre”. Sarà un’altra storia, con altri personaggi e soprattutto con un calcio che si avvierà inesorabilmente verso un cambiamento radicale… ma di questo, magari, ce ne occuperemo più avanti.
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