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L’editoriale di D. Garbo: “Spalletti, un ct a responsabilità illimitata”

La difficile sfida del nuovo ct dell'Italia

Daniele Garbo

di Daniele Garbo – L’accoglienza plebiscitaria ricevuta da Luciano Spalletti quale nuovo Commissario Tecnico della Nazionale ha pochi precedenti. Nessuno dubita che il presidente della Federcalcio Gabriele Gravina abbia scelto l’uomo giusto per risollevare le sorti dell’Italia calcistica. Il Napoli ha stravinto l’ultimo campionato giocando il calcio migliore in assoluto. Ogni altra scelta, all’infuori di Spalletti, sarebbe stata un ripiego.

Ma il lavoro del tecnico toscano sarà tutt’altro che semplice. Vediamo perché.

La Nazionale esprime la forza complessiva di un movimento calcistico e in particolare del suo campionato più importante. Da questo punto di vista non si può certo sostenere che i due ultimi fallimenti alle qualificazioni mondiali siano stati sorprendenti. Certo, per battere la Macedonia sarebbe bastato probabilmente il Frosinone, vincitore dell’ultima serie B, ma il turno successivo in Portogallo sarebbe stato molto complicato.

La realtà è che da qualche anno la nostra serie A è un campionato di seconda fascia in Europa. Il livello tecnico è modesto, lo spettacolo latita, ritmo e intensità sono bassi e molte partite fanno addormentare. Il motivo? Semplice: i calciatori migliori, salvo rarissime eccezioni, giocano in Premier League, in Liga spagnola, in Bundesliga o in Ligue 1. La serie A è una sorta di cimitero degli elefanti al quale i campioni arrivano soltanto a fine carriera per incassare l’ultimo contratto (ogni riferimento a Cristiano Ronaldo non è casuale). I più bravi maturano in Italia, ma appena possono emigrano nell’Europa che conta o in Arabia Saudita, secondo la moda esplosa quest’estate.

E i nostri giovani? Faticano maledettamente a emergere, a trovare spazio, a maturare. Ma non in serie B o in serie A, anche in Primavera, dove gli stranieri sono da tempo in maggioranza. Manca la cultura di voler valorizzare i giovani, il coraggio di lanciarli, la capacità di aspettarli e di non massacrarli al primo errore. Perché i giovani hanno tutto il diritto di sbagliare, ma hanno anche il diritto di riprovarci senza essere asfaltati dalla critica.

In questa situazione, i ragazzi italiani che arrivano a debuttare in serie A sono merce rara e per questo preziosissima. In Italia è considerato giovane un calciatore di 22 o 23 anni. All’estero, quando sono bravi, debuttano in prima squadra a 18/19 anni e magari sono protagonisti in Champions League. Questione di mentalità, si diceva.

Il 63%  dei giocatori di serie A sono stranieri, alcune squadre scendono in campo addirittura senza un solo italiano, o al massimo con uno o due. Se uno gioca due o tre partite da titolare, diventa subito convocabile per la Nazionale. Non perché sia un fuoriclasse, ma semplicemente perché gli “eleggibili” sono pochissimi e la selezione modesta.

Un ulteriore difficoltà sul lavoro che attende Luciano Spalletti è il totale disinteresse dei club e della Lega di serie A, che ne è espressione, verso tutte le Nazionali. Anzi, mentre una volta la convocazione di un giocatore in nazionale veniva vista come motivo di orgoglio e di valorizzazione, oggi viene vissuto come un fastidio. Per il semplice motivo che i club pagano gli stipendi dei giocatori e, quando arriva il momento delle nazionali, rischiano di vederli tornare stanchi, se va bene, infortunati se va male.

Il fatto è che si gioca troppo (e qui le colpe di Uefa e Fifa sono evidenti) e comprensibilmente i club si preoccupano di tutelare i loro investimenti. Al punto di non concedere i propri tesserati con qualche giorno di anticipo prima degli ultimi spareggi mondiali o di non consentire al CT della Nazionale di organizzare degli stage per impostare il lavoro in vista degli impegni ufficiali.

Da questo punto di visto il titolo Europeo conquistato due anni fa dall’Italia di Mancini fu un autentico miracolo, che fece purtroppo dimenticare tutti i problemi che continuano ad affliggere il nostro calcio. Insomma, la polvere fu infilata sotto il tappeto e quando ci siamo risvegliati dal sogno eravamo già fuori dai Mondiali del Qatar.

Questo è il contesto in cui si troverà a lavorare Spalletti, che dovrà schivare trappole e trabocchetti disseminati lungo il suo cammino. Quindi finiamola una volta per tutte con questa retorica della “Nazionale patrimonio di tutti”. Con questi chiari di luna, passare una qualificazione sarà l’eccezione, non la regola.

Il nuovo CT dovrà cercare il pass per gli Europei del 2024 e i Mondiali del 2026, utilizzando quello che passa in convento. Che tutto sommato è qual cosa di meglio di quello che aveva a disposizione Mancini, la cui carica di entusiasmo si era esaurita da tempo. In porta siamo ampiamente coperti, in difesa si muove finalmente qualcosa con la maturazione di giocatori di buona prospettiva, a cominciare dall’atalantino Scalvini.

Il centrocampo è senza dubbio il reparto più ricco per quantità e qualità. L’attacco è invece quello più povero, anche a causa della presenza massiccia di centravanti stranieri in tutte le squadre di serie A. Speriamo che sotto le cure di Gasperini, Scamacca possa finalmente esplodere per regalarci, insieme con Raspadori e Chiesa, un attacco in grado di non sfigurare a livello internazionale.

Ma c’è un ultimo dubbio che riguarda Spalletti e il lavoro che lo attende: è legato al fatto che non potrà lavorare sui giocatori ogni giorno come faceva a Napoli, dato che li vedrà raramente e per pochi giorni. A meno che non ci qualifichiamo per Europei e Mondiali, perché in tal caso li avrà a disposizione per 5/6 settimane.

Bisogna rendersi conto che il Commissario Tecnico non è un allenatore, ma un selezionatore. Il suo compito è convocare i migliori giocatori espressi dal campionato e metterli in campo sfruttando al meglio le loro caratteristiche.

Quindi non aspettiamoci di veder trasferito in Nazionale il calcio brillante del Napoli dello scudetto. Anche nel 1992, quando arrivò Arrigo Sacchi in Nazionale dopo i trionfi euromondiali del Milan, c’erano grandi aspettative. Ma andarono deluse, almeno dal punto di vista spettacolare: l’Italia di Sacchi raggiunse la finale ai Mondiali di Usa ’94, senza però mai farci spellare le mani dagli applausi.

L’Italia di Spalletti dovrà essere concreta e badare al sodo, magari potrà regalarci qualche sprazzo di bel gioco ai prossimi Europei o ai Mondiali. Ma già non vederli in televisione sarà un bel successo.

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