di Marco Schiacca – È il 10 agosto del 1980 e a Roma quella mattina il termometro segna 32 gradi. Nemmeno troppi per essere una mattinata agostana, di certo non la temperatura ideale per indossare un cappello di lana. Ma è proprio con uno zuccotto di lana che Sergio Terenzi, presidente del Roma Club Garbatella Indipendenti, accoglie a Fiumicino con un mazzo di fiori in mano, Paulo Roberto Falcao, brasiliano di Xanxere da Porto Alegre.
All’aeroporto, nel giorno di San Lorenzo, una folla di circa 5000 persone si appresta a fare di mattina quello che di solito si fa di notte: aspettare una stella nel cielo. Tutti con il naso all’insù verso i tabelloni degli arrivi per capire a che ora sarebbe arrivato il volo del DC10 Alitalia AZ569 che avrebbe illuminato il cielo romanista.
E pensare che da quel mercato ci si aspettava altro: il sogno, costruito sulle notizie di stampa, era Zico, il ripiego Socrates. La realtà volle Falcao, un calciatore che conoscevano in pochi anche se nel periodo della sua militanza nell’International di Porto Alegre era stato premiato per ben due volte con la Bola de Ouro, prestigioso riconoscimento assegnato dalla rivista brasiliana Placar al miglior giocatore del campionato brasiliano.
In quella mattinata di 40 anni fa, tanti scelsero di vivere da protagonisti di quel momento raggiungendo l’aeroporto Leonardo Da Vinci con qualsiasi mezzo: auto, moto, motorino, ma anche bici, autobus o corriera. La colonna sonora di quel giorno poteva essere “Luna” di Gianni Togni, “Non so che darei” di Alan Sorrenti o “Stella stai” di Umberto Tozzi, note di quella prima estate degli anni ’80, che da lì poco cambierà le sorti della squadra giallorossa.
Paulo Roberto Falcao arriva in una Roma che Nils Liedholm ha appena riportato alla vittoria di un trofeo dopo 11 anni. È la Coppa Italia, la terza nella storia del club poco abituato a vincere. Alla Roma serve comunque una scossa per cambiare marcia, una scia luminosa da seguire e che segni un percorso diverso, un condottiero insomma. Un Divino.
Questo brasiliano atipico può rappresentare tutto questo. Inizia la sua avventura con la scelta di un numero in Italia insolito per un centrocampista, il 5, e in campo mostra sin da subito personalità, classe, ma più che altro mentalità. Non ruba l’occhio per i suoi dribbling, per i colpi di tacco, come l’immaginario collettivo vorrebbe da un brasiliano, ma per come copre il campo, per come aiuta i suoi compagni, per come sa essere sempre puntuale e opportuno in ogni momento di una partita. Insomma sembra più un europeo che un sudamericano.
Sul campo sembra volare: sguardo alto e braccia sempre in movimento a indicare al compagno dove servire il pallone o dove sistemarsi per occupare la posizione migliore. Quasi mai ha un avversario troppo addosso, sembra non vogliano marcarlo ma in realtà non ci riescono. Paulo è furbo, ti porta a spasso per metri di campo per poi farsi trovare, puntuale, lì dove è importante essere. È sempre un porto sicuro dove approdare, gli dai la palla, lui te la ridà e nel frattempo succede sempre qualcosa di magico e imprevisto.
Già dalla trasferta d’esordio a Como si comincia a intuire qualcosa di grande che diventa certezza tre giorni quando il Divino fa impazzire l’Olimpico con il suo gol alla squadra tedesca del Carl Zeiss Jena in Coppa delle Coppe dopo uno stop di petto a due metri da terra.
Piano piano Falcao riesce a convincere i più scettici grazie all’enorme contributo che dà alla squadra che in quel campionato non scenderà mai più giù del terzo posto. È forte anche l’intesa con il suo presidente, l’Ingegner Dino Viola, che aveva iniziato, anche con una dialettica caustica e pungente, a infastidire gli squadroni del nord. Anche Falcao è anche un ottimo comunicatore, sa pungere al momento giusto e non è mai scontato.
La squadra intanto cresce insieme a lui e alcuni giocatori sembrano essere irrorati da un concime magico. Quelli più importanti, come Di Bartolomei, Ancelotti, Pruzzo, Conti assorbono una nuova mentalità.
La Roma non è più la vittima sacrificale degli anni passati, si va sui campi ostici del nord col petto in fuori e le armi ben affilate. Juventus e Inter diventano avversarie alla portata in casa quanto fuori: l’aria è cambiata.
Non a caso sarà solo un fuorigioco “dubbio”, quello di Turone consegnato alla storia, a negare all Roma la vittoria in casa della Juventus che avrebbe potuto significare scudetto a soli 9 mesi dall’arrivo di Paulo a Fiumicino. Quella famosa “questione di centimetri” come disse Dino Viola parlando ironicamente di quella gara. La Roma chiude quel campionato al secondo posto, con tanta rabbia ma con la consapevolezza di aver trovato la giusta luce per proseguire nel suo percorso di crescita. A parziale consolazione arriverà la quarta Coppa Italia, ancora una volta contro il Torino, proprio grazie a un rigore decisivo di Falcao.
La stagione successiva sarà per Paulo quella dell’assestamento. La squadra continua a crescere anche se chiuderà quella stagione al terzo posto. Intanto Falcao non è più una sorpresa per gli avversari, ora subisce falli gravi e proditori, ma lui sembra tutt’altro che intimorito e lo dimostra giocando con la “garra” di un uruguaiano più che con il fioretto da brasiliano.
Non a caso a Milano contro l’Inter si ricorda ancora una sua entrata a piedi uniti su Spillo Altobelli che Agnolin punì con il cartellino rosso in un pomeriggio caldissimo a San Siro
Paulo oramai è entrato nel cuore e nelle vene del tifoso romanista, al punto tale che molti esulteranno senza freni persino al suo gol del Brasile all’Italia che poi sarà campione al mondiale di Spagna 82. Un gol nato da una doppia finta che aprì la difesa davanti a Zoff come le acque al passaggio di Mosè.
Quella sconfitta della Selecao lo ferisce profondamente ma torna nella Capitale carico come non mai per affrontare la sua terza stagione in giallorosso. La squadra è stata rinforzata anche se qualcuno è scettico su due uomini in particolare, Prohaska e Maldera liberati senza troppi indugi da Inter e Milan. Si riveleranno invece due pedine fondamentali per quella Roma che mollerà il primo posto dopo la terza giornata per poi guadagnare la vetta fino alla fine di quel campionato.
Falcao fa capire di credere nell’impresa già dalla seconda giornata, andandosi a prendere un rigore contro il Verona inseguendo una palla che 99 giocatori su 100 avrebbero lasciato andare sul fondo. Sarà una stagione di partite memorabili e del suo record di gol in campionato, ben sette, alcuni straordinari come quella punizione da 30 metri a Bordon contro l’Inter, quelli decisivi contro il Pisa la domenica successiva alla sconfitta contro la Juve, e ancora quello l’Avellino fondamentale per lo scudetto.
In quel campionato risulterà il secondo miglior marcatore della squadra dopo Pruzzo autore di 12 reti.
Al suo gol contro il Colonia negli ottavi di finale di Coppa Uefa l’8 dicembre 1982, va forse attribuito il primato per il boato più forte della storia registrato dopo un gol della Roma: si passa in un attimo dal silenzio surreale dopo il suo stop di petto su corner di Bruno Conti, all’urlo assordante dei 70.000 dell’Olimpico quando la palla si infila sotto la traversa, imprendibile per Schumacher.
Si arriva così alla quarta Roma di Falcao: l’obiettivo è riproporsi in campionato e sfidare gli squadroni europei in Coppa Campioni per guadagnare la finale che si gioca dell’Olimpico.
La stagione inizia con le prime nubi che si addensano sul cielo fin qui terso del brasiliano. Siamo nel giugno del 1983, la Roma è da poco Campione di Italia ma rischia di perdere il suo simbolo, il suo faro, l’ottavo Re.
Paulo Roberto Falcao dal Brasile, parla già da ex: “Lasciare Roma è stato un trauma“.
Prima lo avevano tentato il Verona e il Napoli poi, con il lavoro oscuro del suo procuratore Cristoforo Colombo e l’aiuto di Sandro Mazzola, trova un accordo con il presidente dell’Inter Ivanoe Fraizzoli.
A Roma scoppia il finimondo, dove non arriverà Dino Viola riuscirà invece il senatore Giulio Andreotti, tifosissimo giallorosso, che chiede aiuto al suo braccio destro Franco Evangelisti passando dal consueto “a Frà che te serve” a un allarmato “A Fra’, risolvi il problema”. Si racconta che, per portare a casa il risultato, Evangelisti si rivolge a sue amicizie in Vaticano, tutto per far breccia nel cuore cattolico di Azise, mamma del Divino. Il resto lo fa una telefonata di Andreotti a Fraizzoli che alla fine convince il presidente neroazzurro a strappare un contratto già firmato.
Falcao torna a Roma e da bravo professionista si rimette alla guida dei compagni che daranno filo da torcere fino alla fine alla Juventus nella corsa scudetto. Quella squadra raggiungerà la finale di Coppa Campioni che potrà giocare a casa propria.
È proprio in quel maledetto 30 maggio che le nubi su Falcao e su la Roma tornano a farsi cupe. Paulo arriva alla finale contro il Liverpool con la spia della riserva accesa e condizionato da guai fisici. Non brilla della sua solita luce nei 120 minuti e al momento dei rigori che assegneranno il trofeo Falcao non va sul dischetto. Per alcuni la scelta è di Liedholm per altri è il brasiliano a farsi da parte. La Roma perde la sua finale più importante e la gente si divide, Paulo forse per la prima volta si ritrova a essere seriamente abbandonato, dopo anni si difenderà così: “Io non riuscivo a camminare per il dolore al ginocchio. L’effetto dell’antidolorifico era già abbondantemente finito durante i supplementari. Ma se anche fossi stato bene, Liedholm mi avrebbe fatto tirare il quinto rigore per scaramanzia dopo il tentativo azzeccato della finale di Coppa Italia contro il Torino. Ma al quinto rigore non arrivammo, purtroppo. Il Liverpool vinse prima”. Si spengono i riflettori su quella partita, prima della fine della stagione si riaccenderà una piccola luce con l’ennesima vittoria in Coppa Italia contro il Verona.
Qualcosa però si è rotto, Liedholm torna al Milan e sulla panchina della Roma Eriksson. La quinta stagione di Falcao inizia tardi e finisce presto: in campionato salta le prime 5 gare, esordisce alla sesta e chiude alla dodicesima. Saranno le sole quattro partite del suo campionato, l’ultima delle quali contro il Napoli e vinta con un suo gol. Cominciano i problemi con il presidente Viola per questioni contrattuali e il rapporto prende l’inevitabile strada della rottura quando il giocatore si rifiuta di sottoporsi a una visita medica richiesta dalla società, dopo un lungo infortunio al ginocchio.
La storia di Falcao alla Roma finisce male, tra diffide, lettere di avvocati, visite fiscali e colpi bassi fino alla rescissione per inadempienza voluta da Viola. Finisce così nel peggiore dei modi una storia “divina”.
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