di Antonio Frateiacci – Dario Canovi è stato il primo procuratore della storia del calcio italiano. Di professione avvocato, nato a Trieste divenuto romano d’adozione, Canovi entra nel mondo del pallone circa 50 anni fa per dirimere contenziosi legali tra club e tesserati. Nel tempo espande il raggio d’azione inventando così una categoria professionale che prima non esisteva diventandone un punto di riferimento unanimemente riconosciuto.
Nel corso della sua carriera ha assistito campioni di primo piano: da Falcao a Bruno Conti a Nesta, solo per citarne alcuni.
La sessione estiva di calciomercato appena iniziata, la professione dell’agente, i rapporti di forza tra società e calciatori, la dirompente apparizione delle sirene arabe sul mercato italiano. Questi e molti altri i temi trattati da Canovi nel corso dell’intervista rilasciata in esclusiva a bttfnews.it.
L’intervista
Iniziamo dall’attualità più stretta: Milinkovic-Savic che ha accettato l’offerta dei saudita dell’Al Hilal.
“I soldi prevalgono sulla gloria. Una cosa è giocare nella Juventus o in un grande club europeo, un’altra cosa è andare a giocare in Arabia che è un campionato di figurine. Quando un giocatore come Milinkovic-Savic preferisce andare in un campionato poco interessante come quello arabo ritengo che sia una sconfitta per il calcio. Pensavo fosse più ambizioso. Chiaramente è difficile dire di no ai tanti soldi che ti offrono, però non ne avrebbe guadagnati pochi altrove e soprattutto c’era tempo per andare a guadagnare quei soldi tra due o tre anni”.
Milinkovic è solo l’ultimo di una serie di calciatori che si sono trasferiti in Arabia e che rischia di allungarsi ancora.
“Io non ci credo nell’Arabia. Credo che ci sia una tradizione nel calcio. Credo che vedere due squadre come Milan e Juventus che si affrontano da 100 anni sia un’altra cosa che vedere due squadre arabe che fino a due anni fa nemmeno esistevano. Ho l’impressione che lì succeda quello che è successo al calcio cinese. Però c’è una profonda differenza: in Cina andavano calciatori a fine carriera qui invece vanno anche giocatori che ancora posso dare molto dal punto di vista tecnico. Probabilmente c’è l’interesse di lanciare il paese anche sotto l’aspetto geopolitico però non credo nessuno mai si appassionerà a una partita tra una squadra di Jeddah e una squadra di Riad. Il calcio Inglese è bello anche perché è un calcio che esiste da 150 anni”.
Un giovane come Tonali, lascia il Milan per il Newcastle, che segnale è questo?
“Sulla questione Tonali c’è un duplice motivo, non è solo un aspetto economico. Si parla del campionato più importante al mondo. Un po’ quello che accadeva trent’anni fa in Italia. Cioè i giocatori volevano venire in Italia, perché, è vero che guadagnavano di più di quanto guadagnavano in Argentina o in Uruguay, ma anche perché venivano a giocare nel campionato più bello e più importante. Questo succede oggi con la Premier League, per cui ci sono giocatori che probabilmente, nonostante le enormi differenze economiche, preferiscono un club inglese ad uno arabo”.
Cosa si aspetta un esperto come Dario Canovi da questa sessione di calciomercato?
“Mi aspetto un mercato povero. Penso che il calcio Italiano e la Serie A stiano rapidamente scendendo nella scala dei valori. Parlo di campionato non di giocatori. Penso che noi abbiamo ancora dei giovani talenti che purtroppo sfruttiamo poco perché i club italiani non hanno il coraggio di schierarli. Quando ho iniziato non c’era un calciatore al mondo che non mettesse la Serie A in testa ai suoi desideri, adesso è diventata uno show room. Una sala esposizione dove noi mettiamo in mostra giovani talenti e quando poi diventano Osimhen, Osimhen parte“.
Perché l’interesse per la Serie A è diminuito a favore dei campionati di Inghilterra, Spagna, Germania e Francia?
“Grazie alla cecità dei club italiani che non hanno capito quali erano gli interessi commerciali. Pozzo, che con il Watford aveva appena raggiunto la Premier League, mi disse: “appena arrivato il Premier sul mio comodino avevo 150 milioni di euro”.
Un club inglese di medio bassa classifica, guadagna, in diritti televisivi, molto di più di quanto guadagnano le prime squadre del campionato italiano. Questo perché hanno saputo adattare il loro campionato a quelle che erano le esigenze televisive dei fruitori di questo spettacolo: che erano gli asiatici. Quindi sono stati i primi a disputare le partite di mattina per permettere agli asiatici di vedere le partite in diretta in orari decenti. Ma non è solo questo, anche la frequenza delle partite. Ora iniziamo a capire anche noi che il campionato ha certe esigenze dal punto di vista televisivo che non puoi dimenticarti. Adesso il campionato Italiano prende un quinto in diritti televisivi di quanto prende la Premier League, meno della Ligue 1 francese. Dal punto di vista economico in questo momento siamo il quinto campionato al mondo”.
Plusvalenze, come incidono gli agenti?
“Gli agenti possono fare molto meno quando come in questo caso la plusvalenza è reale. Nel senso che Volpato e Missiroli sono stati comprati dal Sassuolo perché sono due giocatori giovani in cui loro credono. Cosa diversa con la Juventus che ha fatto plusvalenze a mio avviso fittizie: scambiavano un gatto contro due cani. Giocatori che non hanno mai disputato una partita non dico in Serie A, ma neanche in Serie B o Serie C venivano valutati tantissimo. Per fortuna sembra che questa abitudine si stia perdendo. Considero Carnevali uno dei dirigenti più intelligenti del calcio italiano insieme a Marotta, da uomo intelligente quale è, dopo che ha fatto ottimi affari con la Roma, da Scamacca a Florenzi o lo stesso Pellegrini e Politano, ha creduto in questi giovani”.
I settori giovanili in Italia devono cambiare marcia?
“La Roma ha fatto plusvalenze reali col settore giovanile, come ha fatto l’Inter. Come adesso sta iniziando a fare la Juventus, come fa l’Atalanta, come sta facendo l’Empoli. Molti club hanno capito che il settore giovanile è una fonte di ricchezza, e anche molti giocatori non sono da Roma o Inter però sono da Serie A. E un giocatore di Serie A ha un valore economico importante. Il problema nostro è che spesso i club sono costretti a vendere i giovani talenti, anche promettenti, perché hanno bisogno di far cassa. L’Inter ha venduto Casadei al Chelsea l’anno scorso per 15 milioni di euro e ora il Chelsea ha in mano uno dei giovani più promettenti”.
Quali sono le differenze tra il calciomercato di quando lei ha cominciato e quello di oggi?
“Innanzitutto quando io ho cominciato c’era ancora il vincolo, perciò era una trattativa tra i due club dove il calciatore era semplicemente uno spettatore interessato ma che non aveva voce in capitolo. Piano piano le cose sono cambiate: è arrivata la firma consensuale, ovvero ci doveva essere anche il consenso del giocatore e poi si è arrivati, prima allo svincolo con il parametro, poi, in seguito alla sentenza Bosman, allo svincolo puro e semplice. Per cui i calciatori sono passati da essere una parte poco influente di un trasferimento ad una parte determinante, sia che sia a fine contratto che non. Prendiamo ad esempio il caso di Frattesi, probabilmente è stato più lui a scegliere l’Inter che il Sassuolo”.
Andrebbero tutelati maggiormente i club?
“Io sono stato per troppi anni avvocato dell’associazione calciatori per non pensare che sia un diritto sacrosanto del giocatore decidere dove andare a giocare. Sono sempre stato convinto di una cosa, ovvero che se un calciatore dovesse rivolgersi alla corte europea sul fatto di potersi liberare contratto in essere, io credo che otterrebbe lo svincolo. Partiamo dal presupposto che il calciatore in Italia è un lavoratore subordinato, come un dipendente normale. Quest’ultimo ha la possibilità di dimettersi e di cambiare lavoro se trova un lavoro più vantaggioso. Per cui credo che se un calciatore dovesse rivolgersi alla giustizia europea otterrebbe questo. Questa ipotesi francamente non la riterrei giusta, dal punto di vista economico, per le società. Io ero convinto che lo svincolo avrebbe portato a una diminuzione dei costi di trasferimento, addirittura credevo che non ci sarebbero più state e invece sono aumentate in maniera vertiginosa. La cosa è abbastanza assurda perché, mentre una volta si cedeva il cartellino, la proprietà di un giocatore, adesso invece si vende un contratto. Adesso per esempio il Napoli chiede 150 milioni di euro per Osimhen che ha 2 anni di contratto, fa bene il Napoli a chiederli ma è una cifra che non ha senso. Quindi la figura del procuratore diviene sempre più determinante in un trasferimento”.
Come è cambiato il ruolo del procuratore?
“Quando io ho cominciato, insieme a Caliendo, noi assistevamo calciatori e basta. Facevamo gli interessi di una sola delle parti del contratto. Il nostro scopo era quello di fare contento il nostro assistito perché solo così poi potevamo acquisire nuovi clienti, grazie al buon nome. Adesso l’agente è un mediatore. quando si parla delle commissioni che vanno ai procuratori si fa un errore fondamentale perché quelle commissioni non vanno agli agenti. Non vanno ai procuratori in quanto rappresentanti del calciatore ma in quanto intermediari. Spesso in un trasferimento ci sono più intermediari che ricevono ognuno la propria parte di commissione. Nel trasferimento di Mbappe dal Monaco al Paris Saint Germain sono state pagate mi pare una roba come 10 commissioni. Che poi la maggior parte nemmeno sono procuratori ma entrano in gioco spesso i parenti dei calciatori. Oramai in ogni trattativa intervengono una pluralità di persone che ai tempi nostri non c’era. Quando io facevo un trasferimento c’era la società che acquistava, quella che vendeva e io in quanto rappresentante del giocatore”.
E la figura del mediatore?
“Intendiamoci, i mediatori c’erano anche quando io sono entrato nel mondo del calcio ma erano 2 o 3. Uno era Anconetani che poi divenne presidente del Pisa, un altro era Crociani, detto “Crock”, che era un uomo di fiducia di Viola, al massimo erano appunto 3 o 4. Loro andavano in giro per l’Italia a scoprire nuovi talenti e li segnalavano ai club e guadagnavano una commissione. Una sorta di scouting, anche se spesso noi procuratori eravamo più organizzati delle società nel reperire nuovi talenti. Per esempio sono stato il primo ad andare in Africa a scoprire nuovi talenti. Mi hanno trattato da negriero in Italia perché avevo portato al Torino Gargo, Kuffour e Duah che erano tre giovani calciatori Ghanesi che avevano appena vinto il mondiale under 16 che si svolse in toscana. Allora nessuno pensava che ci potessero dei talenti nel calcio africano. Sono stato il secondo, dopo Nakata, a scoprire il calcio giapponese con Nakamura. Allora eravamo in fondo molto più preparati noi agenti che le società. Allora il direttore sportivo era anche lo scout, adesso molte squadre hanno un servizio scouting importante, giustamente. Altrimenti non vai a scoprire Osimhen o Kvaratskhelia”.
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