Nel corso della trasmissione “Lunedì in Rete” – in onda su backtothefootballtv (Facebook, Youtube e Twitch) – è intervenuto Arturo Di Napoli, ex bomber di Serie A.
NAPOLI CAMPIONE – Per me a Napoli fu un’esperienza bellissima, ero giovane ed era ancora l’era di Ferlaino, subito dopo l’addio di Maradona. Conosco bene quella realtà e conosco bene anche Spalletti, che ammiro sia come uomo, sia come allenatore. Quello del Napoli è un percorso che parte da lontano e attraverso il bel gioco quest’anno ha strameritato uno scudetto che può aprire un ciclo, perchè questo successo è figlio della progettualità. La società- prosegue Di Napoli – ha fatto anche investimenti coraggiosi come quelli di Raspadori, Kvaratskhelia e Osimhen. Il nigeriano – aggiunge – può definirsi un attaccante completo e Spalletti è stato bravo a dargli il giusto senso tattico. In prospettiva può fare veramente grandi cose.
QUELLA VECCHIA SERIE A – Personalmente mi sono adagiato sul mio talento e mi è mancata la continuità nel sacrificio. A volte mi fermo a guardare i gol che ho fatto… Ero di proprietà dell’Inter e ho girato varie squadre sempre con la formula del prestito. Ad ogni rinnovo- svela Di Napoli – Mazzola si rammaricava perchè non gli era mai capitato di tenere per così tante stagioni un giocatore in prestito, senza però che i suoi gol fossero per l’Inter. “Sei una cosa incredibile, potresti fare la storia di questo club e invece vai in giro a racimolare presenze…” mi diceva. Feci una scelta sbagliata, non volevo fare la panchina all’Inter. Avrei avuto anche la possibilità di imparare da gente come Ronaldo, ma all’epoca non lo capii.
In quegli anni – prosegue – il livello era altissimo e oltre ai più noti, ricordo con piacere anche Zampagna e Riganò. Mi ripetevo come due del genere, con le qualità che avevano avessero fatto poca Serie A.
ALLA TAVOLA (e al cuore) NON SI COMANDA – Al Gualdo Tadino fu il mio primo anno da titolare nei professionisti e nell’anno della Serie C andai in doppia cifra e sfiorammo una storia promozione in Serie B. Il Presidente era Barberini ed era talmente una brava persona che il giorno prima del pagamento degli stipendi voleva far star tranquilli i giocatori. Ero il suo cocco. Sono passati più di 30 anni, ma il ricordo è vivo. In panchina c’era Novellino e con lui ho veramente imparato cosa volesse dire avere il giusto approccio tattico ed essere inserito in un contesto di squadra. Infine – racconta con piacere Di Napoli – ricordo quel meraviglioso piatto tipico: la pasta rosa… e infatti avevo sempre qualche kg di troppo da buttar giù.
CALCIO ITALIANO – Nelle nostre primavera c’è un’incidenza troppo importante di stranieri e se questo avviene a livello giovanile, è normale che poi il sistema italiano ha dei problemi. Ci manca quel coraggio che hanno negli altri paesi, dobbiamo andare a prendere giovani ragazzi dalle categorie inferiori, perchè di bravi ce ne sono eccome.
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