“L’arbitro deve voler bene alla partita”, parola di Gianluca Rocchi, designatore arbitrale per la Serie A e la Serie B. Lo dichiara durante il meeting “The Referee” organizzato nell’ambito della prima edizione de “Il calciomercato – International transfer market” presso l’Hilton Airport di Fiumicino.
L’incontro è stata l’occasione per comprendere come la figura dell’arbitro sia evoluta nel corso degli anni – soprattutto dall’introduzione della tecnologia – e provare ad avere un punto di osservazione privilegiato su un mondo costantemente al centro di critiche e polemiche.
“La figura dell’arbitro è molto importante – esordisce Rocchi – deve portare giustizia in campo. E’ un gran conoscitore di regole in un mondo in cui, consentitemelo, le regole non le ha lette quasi nessuno. Questo finisce col riversarsi in campo, dove ci sono le due parti contrapposte: il professore che conosce le regole e sa spiegarle, cioè l’arbitro, e una sorta di alunno, il calciatore, che conosce le cose per consuetudine. Se le regole si conoscessero nel dettaglio sarebbe tutto diverso”.
Dalla stagione 2017-2018 le complicazioni aumentano, perché a un regolamento a volte complesso, si aggiunge il famigerato protocollo VAR: “Però vi ricordo che, per regolamento, è sempre l’arbitro che deve prendere decisioni. Quanto al VAR sono quattro le situazioni in cui può intervenire: rete segnata o non segnata, calcio di rigore, espulsione diretta e non sul doppio giallo e scambio di identità” – ribadisce il designatore quasi a voler rimarcare quel perimetro ancora troppo confuso per molti. “L’obiettivo è quello di costruire arbitri bravi. Questa è la cosa più importante perché la tecnologia può solo migliorare un arbitro già bravo di suo. E chi fa le regole lo sa, infatti la figura dell’arbitro resta centrale. Dal protocollo si percepisce chiaramente questa volontà”.
La tecnologia ha anche imposto all’AIA la necessità di individuare e formare una nuova categoria, quella del video match official, figura di fondamentale importanza nel supporto all’arbitro di campo: “Aleandro De Paolo è il migliore in assoluto, tanto che lo abbiamo fatto internazionale. In Italia siamo stati i primi a dotarci di VMO professionisti, ma sono ancora pochi” – dice Rocchi – “Oggi ne abbiamo dieci, tutti ex arbitri o ex assistenti oramai fuori dai ruoli. L’obiettivo è arrivare a formarne 20-25 per coprire le partite di Serie A e B. Ma non è facile”.
La difficoltà è presto spiegata: “Arbitrare è talento, invece al Var serve studio e applicazione e la crescita deve passare anche per gli errori. Ma in Italia se sbagli ti bruci”. Questo aspetto rende rischiosa la gestione del compromesso che, stante la questione numerica attuale, obbliga il designatore a impiegare gli arbitri anche nel ruolo di VMO: “Al momento delle scelte è necessario tener conto del calendario delle giornate successive. Se a un arbitro designato come VMO in una gara, dovesse capitare di sbagliare clamorosamente una decisione, per me diventerà impossibile mandarlo a dirigere un match nella partita successiva”.
Per limitare sospetti e retropensieri, potrebbe essere utile rendere pubblici i dialoghi tra arbitro e VAR: “E’ una materia particolarissima, noi stiamo lavorando per arrivare a questo. Stiamo asciugando la comunicazione per renderla ascoltabile e pubblicabile. La Figc in questo è molto attenta, il presidente Gravina ci ha detto ‘Iniziate quando siete pronti’, come abbiamo fatto per il fuorigioco semiautomatico”.
Già, il fuorigioco semiautomatico. Novità adottata nel Mondiale in Qatar, usata per due squadre italiane nel derby di Supercoppa tra Milan e Inter a Riyad (precisamente sul gol di Dimarco) e introdotta in Serie A dalla 20° giornata, la prima del girone di ritorno.
“Si chiama semiautomatico perché la macchina rileva la posizione geografica di fuorigioco, ma poi spetta all’arbitro valutare la punibilità di quella posizione e lo sviluppo dell’azione che l’ha determinata. Questo la macchina non sarà mai in grado di farlo”.
Tasto sul quale Rocchi insiste più di una volta a chiarire che mai la tecnologia potrà soppiantare il contributo umano e che la discrezionalità è e resterà un “male” necessario.
C’è ancora spazio per qualche chicca.
“L’arbitro rende un servizio nell’ambito del quale la rapidità di esecuzione e l’accuratezza della decisione giocano un ruolo fondamentale. E’ importante quanto tempo impiega ad andare al monitor se chiamato a una review e quanto ne impiega a tornare in campo una volta presa la decisione. La postura, la sicurezza e la rapidità rendono la decisione più credibile agli occhi di tutti. E non importa se, per arrivare alla decisione più giusta, si impiega qualche secondo più davanti al monitor”. Ineccepibile.
E ancora: “In Italia l’8,5% dei risultati cambia durante il recupero. Questo perché siamo il Paese che dà i recuperi più alti. Per questo dico sempre ai miei arbitri che è fondamentale rimanere lucidi e freschi, soprattutto fisicamente, negli ultimi 15 minuti di gara”.
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